Vivere con il virus HIV è “una sfida da superare ogni giorno", afferma una portatrice
Karine Salles
Venerdì | 29 Novembre 2013 | 10:34 | Ultimo aggiornamento: 22 Settembre 2016 ore 16:07
Nonostante la tendenza alla stabilità, l’epidemia di HIV/Aids colpisce in modo diverso le diverseregioni del mondo. Secondo il Rapporto Globale 2011 del Programma Congiunto delle Nazioni Unite sull'HIV/Aids (UNAIDS), ci sono 34 milioni di persone colpite dal virus. L'organizzazione ha ammesso che nuove infezioni e decessi derivanti dall’aids sono scesi a livelli più bassi sin dall’apice dell'epidemia negli anni ‘90.
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Negli anni ‘80, dopo la diagnosi dell’HIV positivo, il paziente si trovava ad affrontare un breve 'spazio di vita': approssimatamente cinque mesi. Oggi, grazie ai progressi delle ricerche sulla malattia, la prospettiva di sopravvivenza è di circa 100 mesi, conforme si è compiaciuto il dott. Pedro Chequer, coordinatore generale dell’UNAIDS/Brasile.
Portatrice del virus già da 19 anni, la pedagogista Nair Brito ha fatto un bilancio su come convive con la malattia e su come mantiene uno stile di vita sano. "Non avevamo nessuna possibilità, la diagnosi diceva: 'Senti, tu morirai presto'. E nel 1996, con l’aiuto degli antiretrovirali e delle ricerche, tutto ciò è diminuito notevolmente e ha cambiato", ha detto in un'intervista al Portale Buona Volontà.
A proposito dei progressi nel trattamento, il dott. Chequer ha messo in evidenza che "affinché questo possa accadere, bisogna che le persone vengano diagnosticate. Il grande problema che il mondo oggigiorno affronta è la diagnosi: soltanto la metà delle persone non sanno di avere il virus e per questa razione non vengono seguite clinicamente perché non fanno il trattamento".
Una nuova routine è incorporata nella vita di un soropositivo quando inizia il trattamento. Alcuni dicono che quest’inizio è uno dei momenti più difficili. "I farmaci non sono caramelle, no. Sono causa di gravi effetti sull'organismo e sul corpo. Convivere con l’aids continua ad essere una sfida", sottolinea Nair.
La persona portatrice del virus che aderisce correttamente al trattamento e alle cure basiche conduce una vita normale. Tuttavia il dott. Chequer rinforza che "l’adesione al trattamento è il risultato di un processo che coinvolge il paziente, il personale incaricato dell’assistenza e la famiglia.Tre fattori che agiscono in modo coordinato, in cui il rispetto nei confronti del paziente in qualità di Essere Umano e l'accoglienza sono fondamentali".
Per Nair, "esistono ancora il pregiudizio e lo stigma. E quando parliamo di vivere, non parliamo soltanto di resistere, bensì pensiamo nel vivere come persone che non subiscano nessuna forma di pregiudizio e di esclusione. Malgrado l’epidemia esista da 30 anni, molti ancora ci biasimano e questo non va bene". E afferma: "È una sfida da superare ogni giorno e ti svegli ringraziando d’ essere vivo, chiedendo a Gesù di continuare a vivere con dignità".
"Decenni fa ho scritto sul tema che i nostri fratelli che soffrono a causa del virus HIV e quelli portatori di altri disturbi fisici, mentali o spirituali sono i primi ad aver bisogno dell'Amore Fraterno, abbinato al dovuto soccorso medico. Se la persona si sente umanamente protetta, creerà una sorta di resistenza interna molto forte che le sarà di aiuto nel recupero o per diventare più paziente nei confronti del dolore. Io dico spesso che il virus del pregiudizio è più aggressivo della malattia. (...) Lontano dall'Amore Fraterno, ovverosia dal Rispetto, se così vogliamo chiamarlo, l’Essere Umano non saprà mai vivere in una Società Solidale Altruistica Ecumenica poiché la sua esistenza si riassumerà in un terribile "cosmo", il piccolo universo dell’egoismo", così ha annotato lo scrittore Paiva Netto nel suo articolo "AIDS e Diritti Umani", pubblicato su centinaia di giornali, riviste e internet in Brasile e all'estero.
Traduzione: Raffaele Papa
Revisione: Marusca Bertolozzi